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Le novità di genere nel cinema action anni '90

Sono soprattutto tre le novità tematiche nel cinema di genere degli ultimi anni, ciascuna strettamente correlata alle altre. La prima consiste in una differente percezione della realtà in cui si sviluppano le situazioni, oggi carica di molte delle frizioni che l'individuo incontra attraversando la sua sfera sociale. L'effetto più esplorato di queste impasse è il disagio provato da singoli personaggi, spesso giovani, rispetto alla propria realizzazione all'interno di comunità ristrette. Molti sono i casi di uomini alla deriva, spesso incapaci di misurarsi in una data attività professionale o addirittura non più in grado di comprendere quali siano le proprie aspirazioni e reali capacità. Per questi individui, diventa particolarmente difficile comunicare con il prossimo, una défaillance solo in parte curata dal mondo tecnologico che rende la solitudine una dimensione ovattata di illusioni (a causa anche dell'incontro virtuale tramite chat che amplifica l'impotenza nella comunicazione reale). Tra gli esempi più noti, nel cinema, si vedano i personaggi della trilogia Kuroshakai ("mafia cinese") del regista Miike Takashi[i], che per anomalie del destino e per l'impossibilità di rapportarsi ad alcun modello morale "autoritario" approdano al mondo della malavita, mossi da un'inquietudine di cui non comprendono la natura. In particolare nel secondo episodio, la prostituta Lily vive da anni "reclusa" in una asettica camera di bordello, vendendo il proprio corpo senza alcuna apparente pulsione emotiva. Un computer, però, le permette di viaggiare in un mondo immaginario dove può proporsi come donna differente. Grazie a questo suo passatempo, sogna e insegue luoghi lontani, ma nella realtà non ha alcuna intenzione di andarci per paura che si rivelino simili a quello in cui già sopravvive. Quando troverà il coraggio di tentare un approccio con il mondo esterno uscendo finalmente dalla sua stanza, verrà uccisa.

Altra novità tematica consiste nell'allontanamento dei personaggi dal gruppo di lavoro, sia questo rappresentato dalla ditta o dal clan malavitoso. La forza coesiva sempre più corrosa dalla competizione e l'abnegazione al datore di lavoro gradualmente sostituita dal timore di perdere l'impiego, sono il tema di molti film di genere, soprattutto di quelli che descrivono il mondo della malavita in cui si moltiplicano i casi di yakuza isolati che agiscono noncuranti della volontà del gruppo. E' il caso, tra i titoli più noti in Occidente, di Gonin (id., 1995, regia di Ishii Takashi), dove cinque uomini si improvvisano rapinatori (per frodare proprio una gang di yakuza), ciascuno mosso da differenti motivi personali. Anche se la missione è destinata all'insuccesso, l'alternativa è per loro rappresentata comunque da cinque individuali fallimenti: la bancarotta per uno, la perdita dell'impiego per l'altro, e così via. Nella stessa tipologia è possibile catalogare anche molti dei personaggi messi in scena da Kitano Takeshi. Nel suo caso, tuttavia, si tratta di un tipo di cinema che muove i primi passi dal genere yakuza mono evirandolo però di parte dei suoi cliché, creando quindi delle sottrazioni di senso complesse, angoscianti, che rappresentano, insieme a una reinvenzione della gestualità e del "colore" del mondo degli yakuza, il più felice risultato dell'impegno autoriale di questo regista.

Il terzo aspetto, prima raramente ritenuto degno di nota nel cinema, è quello della famiglia vissuta come rifugio dalla società stessa. In un certo senso, il nucleo familiare per i personaggi sostituisce oggi la rassicurante microsocietà una volta identificata nel gruppo di lavoro. In molti casi, comunque, non rappresenta solo un motore della felicità, ma può diventare viceversa il cardine del dramma del personaggio: nel film Hanabi (id., 1997, regia di Kitano Takeshi), oltre al personaggio interpretato dallo stesso Kitano per cui contano solo la figlia (ormai morta) e la moglie malata terminale, il deuteragonista Horibe, costretto in seguito a una sparatoria sulla sedia a rotelle, viene abbandonato dalla sua famiglia. Per uno yakuza mono o un film poliziesco si tratta di una nota del tutto inedita, poiché difficilmente, prima, un "eroe" di tale caratura avrebbe mostrato vulnerabilità o evidenziato il suo attaccamento alla famiglia al di sopra di quello al lavoro. Nel caso di questo personaggio, il dramma vissuto tra le mura domestiche più ancora del proprio handicap fisico oscura la sua intera esistenza, costringendolo a procedere nella vita con disperata solitudine e avvicinandolo per gradi alla sfera della pittura, altro ambiente finora alieno per tale ruolo.

I tre nuovi temi nel cinema di genere scorrono tra le righe di sceneggiature spesso non dissimili da quelle stereotipe del passato, ma la rappresentazione di queste lacerazioni si avvale oggi di una gamma di effetti dal forte impatto. E' soprattutto la violenza lo stratagemma utilizzato per imprimere il segno di una svolta emotiva nella vita dei personaggi. Iconograficamente, il cinema ne fa uso con una valenza pari a quella dei mondi del manga e del videogame. Si tratta quasi sempre di immagini destinate allo fuizione rapida con lo sguardo più che alla memoria, colte con primissimi piani, legate da un montaggio adrenalinico, esagitato, per sottrarle subito alla vista lasciando niente più che un vago senso di angoscia. Soprattutto negli yakuza mono, abbondano fiotti di sangue ed effetti gore, ma tutto viene presentato come irreale, parossistico, e in quanto tale improbabile. In altre parole, la violenza in questi film è eccessiva quanto un desiderio inesprimibile, che nella sua rappresentazione viene così in qualche modo esorcizzato. Uno dei più interessanti esempi, in questo senso, è offerto dal film DOA - Dead or Alive (id., 1999, regia di Miike Takashi), soprattutto nella sequenza iniziale di appena sei minuti, girata senza dialoghi, in cui il regista riesce a mostrare: una donna che precipita da un alto edificio, spaccio e consumo di droga, una scena di sesso sado-maso, un'aggressione violenta da parte di alcuni poliziotti su un gruppo di giovani, uno strip-tease, un rapporto anale tra due uomini, di cui uno viene ucciso, un uomo che viene assassinato in auto e la strage di un'intera gang di cinesi in un ristorante, a sua volta devastato. Anticipa la sequenza un breve stacco sui due protagonisti maschili che, guardando in macchina, danno il via al carnevale di immagini che seguirà. Per quanto apocalittica, questa frenetica successione di quadri mobili su base musicale metal, attraversata da una sottile ironia nella sua evidenza naïf, non spaventa ma diverte, e in qualche modo dissolve così la tensione che potrebbe crearsi dagli exploit violenti che seguono nel corso del film, sdrammatizzandone la brutalità.

[i] I tre titoli sono: Shinjuku kuroshakai - China mafia sens& (Mafia cinese a Shinjuku - La guerra della mafia cinese, 1995), Gokud& kuroshakai - Rainy Dog (Mafia cinese - Rainy Dog, 1997) e Nihon kuroshakai - Ley Lines (Mafia cinese in Giappone - Ley Lines, 1999)

Estratto da "B-MOVIE D'AUTORE: IL NUOVO CINEMA GIAPPONESE", in Atti Aistugia 2001

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