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Anticipazione da ANIMERAMA: Eroi dal passato

EROI DAL PASSATO

Nel corso degli anni ’60, il tipo di eroe a cui si è fatto riferimento serviva per un numero indefinito di riferimenti politici, culturali e mitologici. Da un lato, come negli esempi sportivi, l’uomo combattuto tra il senso di abnegazione verso l’avventura intrapresa e una dimensione tragica personale (L’uomo tigre, per esempio, parte dalla storia di un orfano), quindi tra il senso del dovere (giri) e i sentimenti umani (ninjō), altro non era che la rivisitazione dello spirito guerriero dei rōnin degli anni ’20-’30. D’altra parte, però, si trattava di personaggi pericolosamente inclini al nichilismo, che potevano rivelarsi schegge impazzite della società. Tra le varie tipologie, il simbolo più alto della deformazione della “legge” in Giappone è rappresentato dai ninja, considerati alternativamente spie crudeli o eroi semi-magici.

La mitologia intorno a questi eroi, prima ancora che nell’animazione, aveva riscontrato un vasto successo nell’ambito del manga a partire dalla fine degli anni ’50. E’ in questo periodo infatti che viene coniata l’espressione gekiga (“disegno con carattere drammatico”), definito da Tatsumi Yoshihiro, uno dei primi disegnatori del genere, come fumetti indirizzati a un pubblico adulto, in cui si predilige la psicologia dei personaggi e le cui vicende vengono descritte realisticamente e in assenza di note comiche[1]. Questi fumetti erano in prevalenza distribuiti attraverso i negozi di libri a prestito (kashihon’ya), dove i volumi potevano essere presi a un prezzo irrisorio e restituiti dopo la lettura, un fattore che avvicinò moltissimi lettori. Tra i principali autori del genere, Tatsumi prediligeva le atmosfere poliziesche e Satō Masaaki l’hard boiled e il thriller in generale, quindi generi virili per antonomasia. La figura più interessante è tuttavia quella di Shirato Sanpei (pseudonimo di Okamoto Noboru, figlio del pittore Okamoto Tōki), inizialmente pittore per il kamishibai.

Shirato esordì nel manga con una lunga opera ambientata in periodo Muromachi, intitolata Il fascicolo dell’arte militare dei ninja (Ninja bugeichō, 1959-1962), destinato al prestito nei kashihon’ya. Le avventure si aprono con il desiderio di vendetta del giovane figlio del signore di Fushikage, poiché il padre è stato ucciso da un rivale. La vendetta (katakiuchi, uno dei temi maggiormente banditi dalle Forze di occupazione) era un classico degli ambienti del passato, ma in questo caso gradualmente l’interesse dell’autore si sposta dal primo personaggio verso le classi disagiate che abitano nei villaggi intorno al castello, spesso costretti alla rivolta; durante le insurrezioni, è il ninja Kagemaru a guidarli. Lo spirito rivoluzionario è espresso dallo stesso Kagemaru nel manga, quando sostiene: “Se io morirò, subito verrà un altro dopo di me. Anche se sarò sconfitto, gli uomini combatteranno finché verrà il giorno di una felicità distribuita equamente.”[2]. Nel caos di questa società, attraverso scene di battaglia rappresentate con effetti estremamente cruenti e realistici, il “valore” del guerriero (che nel caso specifico era anche un fuorilegge) passava in secondo piano rispetto alla lotta in sé: una parafrasi ideale per quanto avveniva in Giappone nel periodo della pubblicazione di questo manga, in particolare in riferimento alle lotte anti-Anpo, cioè contro il rinnovo del Trattato di Sicurezza nippo-americano.

Negli anni che seguirono diversi registi considerarono la possibilità di una trasposizione di quest’opera, animata e non. Solo nel 1967 il primo adattamento fu distribuito nelle sale, l’omonimo film realizzato da uno dei principali registi della nuova stagione cinematografica giapponese, Ōshima Nagisa[3]. Pur essendo un cineasta specializzato in cinema dal vero, Ōshima aveva già sperimentato con un suo film precedente, Il diario di Yunbogi (Yunbogi no nikki), la realizzazione di una pellicola interamente costituita da immagini fotografiche legate tra loro attraverso un montaggio dialettico. Ritenne quindi che il miglior modo di trasporre l’opera di Shirato fosse ricorrere nuovamente al banco di ripresa, utilizzando i disegni originali del fumettista. Il risultato che ottenne fu un manga “animato” solo dai movimenti di macchina attraverso piccoli scarti tra le singole immagini statiche, legate tra loro con un meticoloso lavoro di montaggio e corredate dal doppiaggio delle voci dei personaggi e di un narratore. La “lettura” dei quadri di Shirato che ne risultò conservava la carica sovversiva originale, aggiungendo un approccio soggettivo e (politicamente) sincero alle istanze di rivolta di cui il regista stesso era protagonista. Inoltre, il film diventava anche una sperimentazione sulle possibilità dialettiche dello stesso mezzo cinematografico, profilando la possibilità che cinema dal vero, animazione e altri media potessero felicemente convivere.

Altre opere di Shirato furono invece adattate in animazioni vere e proprie, per esempio le serie televisive Fujimaru, il giovane ninja del vento (Shōnen ninja kaze no Fujimaru, 1964-1965), Sasuke (Sasuke, il piccolo ninja, 1968-1969) e L’invincibile ninja Kamui (Ninpū Kamui gaiden, 1969), ma perdendo notevolmente il sostrato politico degli originali a favore di un leggero intrattenimento. I manga dai temi politici, del resto, scomparvero quasi del tutto già all’inizio degli anni ’70, mentre sarebbe proseguito inalterato il successo di quelli storici, sempre più utilizzati in funzione elegiaca.

[1] Per l’argomento cfr. Maria Teresa Orsi, cit., pp. 77-79. L’autrice nota anche come vi sia un’assonanza nel termine geki con l’equivalente dal significato di “violenza”.

[2] Shirato Sanpei, Ninja bugeichō, vol. 7, Tokyo, Shōgakukan bunko, 1976, p. 118, tradotto in Maria Teresa Orsi, cit., p. 85.

[3] Il tema della rivolta, del resto, era particolarmente caro al regista, che in questi anni realizzava alcuni dei titoli più importanti sulla società e la politica del suo tempo.

Estratto da "ANIMERAMA - STORIA DEL CINEMA D'ANIMAZIONE GIAPPONESE", Venezia, Marsilio, 2015

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