Video Letter (Terayama Shuji-Tanikawa Shuntaro, 1982-83)
Video Letter (Terayama Shuji-Tanikawa Shuntaro, 1982-83)
E’ la sua ultima opera, girata in quasi due anni, dall'82 alla sua morte nell'83. Consiste in una corrispondenza strettissima in forma di video (in tutto 16) tra Terayama e il poeta Tanikawa Shuntaro. I video sono legati uno all'altro da semplici intestazioni che ne indicano mittente e destinatario nella forma “Terayama-Tanikawa”, e si compongono di immagini, suoni e parole distribuiti con uguale importanza sulla banda intorno a un unico tema centrale: la definizione (o finzione) dell'identità dell'altro, del committente, riflesso e negazione della propria.
Così ciascuno dei due parte da un'immagine offertagli dal video "ricevuto", o da un accenno di identità del committente, per costruire una propria immagine e negare la propria identità, e a sua volta l'altro vi si legherà con un nuovo video. E ovvio, quindi, che il primo video (da Tanikawa) si apra con delle fotografie di Terayama, dove la fotografia indica il tramite più diretto con l'identità, ne rappresenta l'acme in quanto contemplabile e aperta in tutti i suoi significati.
Ogni "lettera" è comunque intesa come un monologo a senso unico, e pertanto i video vengono girati nelle rispettive case con oggetti essenziali che rappresentano in modo diretto gli autori. Questi oggetti vengono poi simulati dall'uso delle parole[1], che sono disgregate e sciolte[2], o ancor più rese nella loro vacuità[3] o inconsistenza[4], e che comunque vengono usate con gli oggetti stessi nel lungo dibattito aperto alla ricerca del confine tra “significato” e “non significato”[5]. A loro volta gli oggetti vengono frammentati e dissolti come apparenze di significati, e a immagini pittoriche vengono sovrapposte cose che ne offuscano l'essenza. Allo stesso modo delle fotografie vengono lacerate fino a scomporsi nei loro singoli significanti.
La definizione di identità è riconoscibile in tre ambiti in particolare. Il primo è dato dalle nostre azioni, o meglio dalla risultante di gesti o abitudini che, proprio perché soliti, ci qualificano. Perciò si assiste alla lunghissima preparazione dei medicinali di Terayama nel Vol. 6, o alla serie di "pose" hollywoodiane di Tanikawa nel fumare o nel bere il tè del Vol. 13, o al percorso del ragno sulla propria tela (Vol. 9) che li riassume entrambi.
Il secondo ambito è quello offerto dalla gente per la quale l'identità dei due autori ha acquistato un significato, e che pertanto li qualifica in quanto “Terayama” o “Tanikawa”. Nel suo ultimo video, infatti, Terayama interroga una serie di personaggi, uomini, donne, una vecchia, persino il proprio cane, sull'identità di Tanikawa, ponendo a tutti le stesse domande: “Chi e Tanikawa? Se fosse cibo, a cosa lo paragoneresti? Che prezzo gli daresti? Se fosse numero, quanto lo valuteresti?”. Dalle risposte disegna quindi la propria identità, come poeta, come scrittore, come un “chissà chi sarà!”, o nel nulla dato dal silenzio del suo cane per cui Tanikawa non ha significato. Acquista inoltre varie forme plausibili, come caramella, o torta, o cetriolo, e anche vari valori economici che lo definiscono.
La terza sfera di ricerca consiste di oggetti personali che normalmente ci autoqualificano, e che scorrono nei due volumi 11 e 12 a mostrare due identità che si mescolano tra loro, in qualche modo anche si scindono, e nel complesso si annullano. Nel primo, Tanikawa lascia cadere sul pavimento uno per uno tutti gli oggetti che gli appartengono. Di ognuno, per esempio nella prima frase “Kore wa watashi no denchi desu”, ne sottolinea il nome e il possessore, di cui pero lascia incerta l'identità nell'uso del neutro watashi invece del boku. Gli oggetti che cadono in successione, che si accavallano uno all'altro, si mescolano (vi sarà anche frutta varia, una bambola, fotografie, un giornale, appunti, dischi, fino ai propri vestiti e, infine, il proprio piede), acquistano gradualmente nell'insieme consistenza e forma a sé stante, e su questi Tanikawa lancia infine un foglio di plastica azzurro, ricoprendoli tutti, e sottolineando ancora una volta il dubbio sulla propria essenza, su se stesso (Watashi wa dare desho).
Nella video-risposta di Terayama, questo lascia a sua volta cadere sul pavimento una serie di tessere, lettere e fogli con iscrizioni varie. Nel suo caso, l'elemento di incertezza è più evidente perché sottolineato da un tabun (forse) all'inizio di ogni frase. Dal succedersi di questi tasselli, Terayama s'interroga quindi in frasi come: “Forse io sono un giapponese, forse sono di Aomori, forse sono un poeta, forse non sono Tanikawa Shuntaro”, fino all'ultima: “Quale sarà la cosa più giusta?”[6]. Ritornano in un attimo tutti i personaggi dei suoi film, ragazzi alla ricerca del proprio futuro, la vanità dell'ossessione dei loro doppi adulti, le ombre del passato che li hanno costruiti, la fuga costante nel sogno che oblitera l'angoscia dell'assenza. Ci si interroga definitivamente sul proprio inizio e sulla propria fine, e su tutto ciò che troppo semplicisticamente definiamo come “identità”, e che poi risulta essere un nome su un documento, una finzione di personae[7]. La ricerca è destinata a terminare drasticamente, ma nel modo più consono a questa corrispondenza, con la morte di Terayama. Negli ultimi due video di Tanikawa (l'ultimo ormai nella forma di “Tanikawa ...”), il referente si è disperso. Tramite una linea diritta su un foglio, anche questa "scrittura" di Terayama, si dissolve l'ultimo movimento di identità. Dalle varie dissolvenze in nero apparse nel film a cancellare immagini o a fungere da tramite nell'immaginazione, quest'ultima dissolvenza data dal colore bianco del foglio su cui la linea scorre non lascia più alcuno spazio a parole e a forme. Se è vero, quindi, che l'identità è ciò che appare, come i due hanno voluto dimostrare, qui quella di Terayama si dissolve del tutto, in una morte non più simulata.
Terayama e Tanikawa avevano cercato nell'altro una definizione del sé, per cui questa fine preclude allo stesso Tanikawa la possibilità di procedere nella propria ricerca, o ai suoi fruitori di continuare a dare definizioni su ciò che credevano essere un'esistenza. E' così che, per paradosso, allo svolgersi della sua opera più privata noi ci accostiamo in modo più voyeuristico che mai.
[1] “Kotoba kotoba kotoba kore ga boku no kinkyo desu” (Parole parole parole questo è il mio stato attuale), nel Vol. 2 in apertura (Terayama).
[2] Si veda il Vol. 8. Terayama dispone su un tavolo vari tasselli su cui vi sono lettere, sillabe e immagini, che egli combina come in un gioco del domino, creando e disgregando dei significati. Le scene vengono intercalate da altre immagini (quella di un cimitero, ad esempio), fino alla formulazione dello schema tautologico:
T
H L
W I O
N O M E A N I N G
R G I
B O D Y C
in cui inscrive anche l'immagine di un cane.
[3] Sull'immagine di masse fluide di colore che si muovono creando forme astratte, e con un rumore d'acqua e dialoghi indistinguibili in undici lingue diverse, Tanikawa (Vol. 3) tesse un monologo di estratti di nonsenso.
“Tsumari ee ano sa (beh... eh... sai)
unh nan te iu no ka naa (uhm... come si può dire) sonoo (quel...)
yappari sonoo keibyoku ne (certo che... dopo tutto...) unh (ohm)
ee (eh...)
un too sugaku tsumari (beh... incredibile, cioe...) aimaina to ieba ii ka (è ambiguo... si potrebbe dire) katachi ga nai to ieba ii ka (non ha forma... si potrebbe dire) ma nagarete iru wake ne (beh, però scorrono)
sonoo nagarete irutte iu (questi cioè dire che scorrono)
koto no naka ni (nelle cose)
nanka sono (qualcosa quel)
are ga arutte koto kana (sara un po' come dire che ci sono)”.
[4] Nel Vol. 7, per esempio, Tanikawa dissolve del tutto l'uso della parola, sostituendovi un discorso in Morse. Nelle immagini in primissimo piano, una gran varieta di foglie che un po' alla volta vanno offuscandosi.
[5] Dialogo che si sviluppa dal Vol. 4 al Vol. 10.
[6] VOI. 12: “Tabun, boku wa nihonjin de aru
tabun, boku wa Aomorikenjin de aru
tabun, boku wa shijin de aru tabun, baku wa Tanikawa Shuntaro dewa nai”.
“(...) Dore ga ichiban tadashii no ka”.
[7] Come piu volte sottolineato dallo stesso Terayama, nell'asserire il possesso di un oggetto, cioè di un qualcosa potenzialmente acquistabile ovunque e che quindi chiunque potrebbe possedere, non si vuole riconoscervi una “personae”, una identità, ma solo rinviarvi il senso del termine “mio” che motiva la scelta di un determinato oggetto pinttosto che di un altro, come sintesi delle operazioni culturali che l'Io ha subito. Per un processo inverso, cioè partendo dall'oggetto in direzione del possessore, in questo Video Letter entrambi gli autori hanno costruito una serie di immagini che risalgono lungo i condizionamenti culturali fino all'essere iniziale, cioe l'identità.
Estratto da "FORMA DELL'IMMAGINE E IMMAGINE DELLA FORMA: ITINERARIO META-VISIVO NELL'OPERA DI TERAYAMA SHUJI" in Il Giappone, Volume XXXII, 1994,