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Labirinto d'erba (Terayama Shuji, 1979)

Kusameikyu (Labirinto d'erba, 1979).

E' l'unico mediometraggio ed e l'opera che più di tutte ne mette in scena l'erotismo onirico, pur se ispirata all'omonimo romanzo di Izumi Kyoka. Qui insiste in particolare sui movimenti dell'inconscio ripreso in visioni discontinue, dal ritmo man mano sempre più incalzante, che offuscano ogni abituale forma di fruizione logica della grammatica cinematografica.

E’ inoltre il film che più evoca delle scene di zone infernali. In misura maggiore rispetto agli altri suoi film, vi e quindi qui un'esplosione di colori e forme, di oggetti intesi in chiave freudiana e mitologica, e ritorna il bestiario delle opere brevi a disegnare intertesti di racconto.

Si tratta ancora una volta della storia di un ragazzo che vive con la madre vedova e tenta di crescere, cioè di "diventare", in contrapposizione all'essere compiuto della madre. Ci prova, come sempre, tentando di evolvere la propria sessualità, e ancora una volta ciò gli viene negato. Il motivo dell'orologio di Den'en ni shisu qui si traspone in quello dei temari uta (1), ricorrendo a volte nelle ninna-nanne, come vedremo "parole" del film, a volte nelle palle variopinte che spesso appaiono nelle scene.

Ogni volta che i temari uta interferiscono nel suo cammino sessuale, il ragazzo diventa impotente ed è costretto a tornare al "globo" materno, temari primordiale. Incontra una donna dal nome emblematico di Sendaijo, delle “infinite generazioni” che e segregata in un magazzino e che lo seduce, ma anche qui il temari uta cantato in qualche recesso del suo subconscio diventa una castrazione. Succederà così ogni volta che il ragazzo tenterà di entrare nel suo mondo di azione, e gradualmente divamperà l'eccesso di esistenza, cioè il caos che parte dalla crudeltà. Se in opere come Den'en ni shisu il ragazzo, incapace di allontanarsi dalla madre, aveva tentato di ucciderla, qui, più freudianamente, sarà portato al desiderio di stuprarla. Per muovere il ragazzo in questa sua rivolta inconscia, Terayama usa quindi due attori nella parte del protagonista, uno adolescente e uno piu grande, di circa 17-18 anni, cioè il suo uomo dietro le quinte, che stupra la madre in un acuto atto di dolore per l'adolescente.

Alla ricerca dei temari uta, il cui possesso-acquisizione gli permetterà di crescere, il ragazzo attraversa varie dimensioni, ognuna delle quali ripercorre gli stessi accenni di schizofrenia della casa che vuole abbandona re, ma la madre continua a esistere come unica persona, anche se nelle sue due componenti manicheistiche di madre buona e madre cattiva. Oppure accede a stanze di esorcismo, come quello operato dalla madre-sciamana, direttamente su di lui quando, dopo aver scoperto la sua relazione con la donna segregata nel magazzino, lo lega a un albero come un wara ningyo (2) e lo ricopre di iscrizioni simili a sutra buddhisti.

Nelle ultime scene, quando gia lo spettatore e preso dall'incantesimo della storia in cui il discorso narrativo si è ormai del tutto dissolto, esplode la parata dei fantasmi del ragazzo che si incarnano in quattro sohei (3), deformi come in Freaks (4), che custodiscono templi dove sacerdotesse venerano un unico idolo, cioè la madre. Il ragazzo vi lotta in una serie di stanze-labirinto, cripte del subconscio invase ormai da temari, in cui i fusuma scorrono violentemente come trompe-l'oeil dilatando e occludendo gli spazi al ritmo di palpitazioni cardiache. Sulle pareti di queste scatole magiche sono rappresentate immagini gigantesche, anche queste scene di deformità, in shunga di un periodo decadente. Vi appaiono donne incinte legate, o immagini cruente di personaggi che sembrano una sublimazione della crudeltà.

La scrittura più provocatoria del film è comunque quella delle canzoni: i temari uta sono allo stesso tempo ninna-nanna e canzoni sconce, o addirittura diventano inni di guerra, e pulsano lungo il film in alternanza alle parole, che invece verso la fine si annullano.

Film girato più per un piacere personale (e infatti appartiene alle Collezioni Private) che per un pubblico normale, Kusameibyu si risolve quindi in sequenze di puro gusto visivo, a cui lo spettatore abbina a posteriori il "suono" come forma già elaborata dai sensi. Ha così in qualche modo una gaiezza particolare che, purtroppo, sfumerà nell'opera successiva.

(1) Significa “poesia per diletto” o “poesia come gioco”. Temari è una palla (di solito di fili multicolori) che veniva fatta rimbalzare fra le mani abbinandovi i versi di una canzone-filastrocca.

(2) I wara ningyo sono dei "pupazzi" ottenuti legando insieme in modo molto rudimentale dei fili di paglia, così da far loro assumere un abbozzo di persona. Sono usati spesso nelle formule di maledizione e di fattura, come i pupazzi nei riti woodoo, poiché rappresentano il peccato che si vuole scacciare (per questo vengono “impiccati” o inchiodati.

(3) Monaci guerrieri che proteggevano i templi in periodo feudale.

(4) Lo sconvolgente film di Ted Browing (USA, 1932) che aveva posto in scena esseri nani deformi e "paurosi" secondo il senso comune, esaltandone invece la bellezza e purezza.

Estratto da "FORMA DELL'IMMAGINE E IMMAGINE DELLA FORMA: ITINERARIO META-VISIVO NELL'OPERA DI TERAYAMA SHUJI" in Il Giappone, Volume XXXII, 1994,

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