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Anticipazione da ANIMERAMA: Le ultime sperimentazioni di Tezuka Osamu

Le ultime sperimentazioni di Tezuka Osamu

Nel corso degli anni ’70 il “dio del manga” Tezuka Osamu aveva dedicato il proprio impegno artistico in prevalenza alla sfera del fumetto, per tornare poi all’animazione a partire dal 1978[1] con il film Il viaggio per la Terra di 1.000.000 di anni: Il libro di Bandar (Hyakuman nen chikyū no tabi – Bandā bukku, co-diretto da Tezuka e Sakaguchi Hisashi), inaugurando una stagione di medio e lungometraggi — in gran parte destinati al piccolo schermo —, tra i quali il film Bagi, il mostro della potente natura del 1980. Dai vari titoli che seguirono fino al 1986, coprodotti dalla Tezuka Productions e altre majors, trasparivano le riflessioni di Tezuka sugli esseri umani, sulla natura e sulle aberrazioni della scienza e della politica: bambini nati in provetta e allevati da robot per disegni di potere intergalattico (L’uccello di fuoco 2772: Area cosmica dell’amore – Hi no tori 2772 – Ai no kosumozōn, 1980, regia di Sugiyama Suguru), il terrore della minaccia atomica nel clima di Guerra Fredda tra USA e Unione Sovietica (Fūmoon - Fūmūn, 1980, regia di Tezuka), la piaga dell’inquinamento terrestre e la necessità di portare all’attenzione pubblica le istanze ecologiste (ne parla lo stesso Fūmoon, ma anche Unico – id., in Italia Unico, il piccolo Unicorno, 1981, regia di Hirata Toshio), la generale paura di una guerra che ravvivasse gli orrori di quella di cui era stato testimone (tra gli altri, Brema 4 – Angeli dell’inferno – Buremen 4 – Jigoku no tenshitachi, 1981), la spiritualità, in qualsiasi forma fosse coniugata (come indica, tra gli altri, il sostrato simbolico religioso buddhista e shintoista del suo Uccello di fuoco 2772[2]).

Contemporaneamente a queste produzioni[3], Tezuka tornò a lavorare su opere sperimentali, come non faceva più da quasi un ventennio, girando animazioni premiate internazionalmente. Il primo titolo del nuovo ciclo fu Jumping (id., 1984), ispirato dal lungo volo in soggettiva del corto ungherese La mosca (A légy, 1980) di Ferenc Rofusz. Costituito da un unico piano-sequenza, intuiamo solo da un gridolino iniziale e un finale sospiro di sollievo che protagonista della soggettiva e della sequenza di salti (sempre più alti e sempre più proiettati in distanza) è una bambina. Ogni volta che “atterra” e prima di spiccare il nuovo salto, assiste per pochissimi istanti a un gag differente, ma quest’anomalo viaggio la conduce anche nel pieno di una guerra, della seguente esplosione atomica, quindi addirittura negli inferi, da cui tuttavia viene ricacciata per tornare al suo punto di partenza. I salti sono sempre più rapidi e concitati e venati di ironia; come sostenuto dallo stesso Tezuka, “l’idea era che la cultura degli esseri umani sta diventando sempre più tecnologica e irrefrenabile e il risultato è finire all’inferno, nella paura più grande, quella di una guerra nucleare”[4]. Il corto è composto da una grande varietà di prospettive e di angoli e utilizza per i fondali un disegno essenziale con colori semplici. In tal modo l’attenzione è del tutto rivolta al movimento, il vero protagonista di questa sperimentazione.

A un anno di distanza è il turno di Film logoro (Onboro firumu, 1985), ambientato nel Far West dove un cowboy e una donna hanno una relazione interrotta da una serie di “anomalie” della pellicola (rumori, linee, errate messe a fuoco e rotture della traccia visiva, tutti difetti vari di una pellicola ormai vecchia). In sostanza si tratta di una sorta di gioco dedicato al cinema e all’idea che un’opera possa essere profondamente alterata a seconda dello stato in cui si trova quando giunge nelle sale. I momenti più divertenti coincidono con le scene in cui l’eroe combatte allo stesso tempo il suo nemico e i problemi tecnici causati dal cattivo stato di conservazione della pellicola, per esempio arrampicandosi da un fotogramma all’altro.

Nel 1987 Tezuka lavorò su tre nuovi cortometraggi: Spingere (Osu), Muromasa (id.) e La leggenda della foresta (Mori no densetsu). Il primo è un breve sketch caustico in cui l’autore riprende e accentua la sua ansia sulle sorti della Terra, destinata a un potenziale declino a causa della cieca foga tecnologica degli esseri umani. Un uomo viaggia in un paesaggio desolato fermandosi di tanto in tanto presso edifici diroccati, dotati tuttavia di macchine automatiche che gli offrono ciò che desidera: una bevanda, abiti e auto nuovi, persino animaletti robotici in luogo di quelli reali. Giunto presso l’ultimo “fornitore”, cioè Dio, chiede di avere una nuova Terra, ma gli viene negata, poiché il suo destino è infatti quello di vagare da solo in un mondo ormai raso al suolo dalla follia atomica. Muromasa si apre con una nota che cita: “Un uomo armato che può uccidere le persone come fossero pupazzi non si rende conto che prima o poi diventerà uno di loro”. Il corto comincia con musica tradizionale del teatro nō e uno scenario rosso apocalittico: Muromasa è il nome di una spada conficcata in un fantoccio di paglia (wara ningyō, usati dall’antichità per scagliare maledizioni). Un samurai la trova, la estrae, e da quel momento è ossessionato dall’idea di dover fare a pezzi qualsiasi fantoccio di paglia incontri, per accorgersi ogni volta di aver ucciso in realtà una persona. Si frena solo quando davanti a sé appare un fantoccio in cui crede di individuare un bambino, un sentimentalismo che lo rende umano, quindi a sua volta un pupazzo di paglia. Il messaggio di pace e di non violenza, seppure molto forte, è in quest’animazione più amaro che nei precedenti titoli, al punto da tralasciare del tutto la consueta ironia che contraddistingue l’opera di Tezuka.

La leggenda della foresta è un’opera incompleta[5], poiché solo il I e il IV movimento dedicati all’opera 36 della Quarta Sinfonia di Čajkovskij sono stati ultimati. Il primo movimento è dedicato alla storia di uno scoiattolino volante (una sorta di opossum) e del suo triste destino legato alla crudeltà di un boscaiolo che lo priva da cucciolo della sua famiglia e in seguito della sua compagna. L’intera storia si sviluppa attraverso tecniche differenti che seguono l’evoluzione dell’animazione stessa: le prime immagini sono quadri che si trasformano poi in uno zootropio, quindi in disegni alla Émile Cohl e via via in immagini più evolute, passando anche attraverso stili e citazioni da Disney e Fleischer e persino a un’animazione di matrice più televisiva, con animazione limitata. Il quarto movimento è dedicato a un tema analogo: una spietata squadra di boscaioli capeggiati da un uomo simile a Hitler sono intenti a disboscare un’area in cui vivono animali, fate e gnomi. La loro crudeltà è punita dalla stessa natura attraverso una pianta magica che si sviluppa fino a inghiottire uomini e macchinari, ricoprendoli di fiori. Come nel noto Fantasia disneyano, non vi sono dialoghi, ma un’esaustiva grammatica mimica concorre allo sviluppo della storia. In qualche modo questo corto conferma una delle apprensioni maggiori di Tezuka, cioè che l’essere umano operi un degrado del mondo, levando così più alto il suo appello ecologista.

L’ultimo film sperimentale del regista è il brevissimo Autoritratto (Jigazō, 1988, circa 15 secondi), realizzato come parte di un progetto collettivo. L’anno precedente l’artista statunitense David Ehrlich, membro dell’Asifa, aveva proposto di raccogliere brevi pellicole girate da 19 membri dell’associazione di cinque differenti paesi, e tra questi i giapponesi Kinoshita Renzō, Kawamoto Kihachirō e Tezuka Osamu. Il risultato fu l’opera Animated Self Portraits presentata ad Annecy nel 1989. Tezuka scelse per sé la soluzione di dividere l’immagine in tre aree reminiscenti una slot machine (il cui rumore è anche l’unica base sonora), alternando in ciascuna fascia un proprio differente aspetto e combinando le diverse soluzioni in tre giri di manovella finché, al quarto tentativo, si compone un suo ritratto caricaturale dalla cui bocca esce il jackpot. Molte diverse interpretazioni sono state avanzate rispetto a questo corto, per esempio che la casualità della slot machine indicherebbe le fortune alterne della stessa carriera da animatore del regista, o che in qualche modo rappresentasse un ultimo divertissement dell’autore. Tezuka infatti fu stroncato da un cancro allo stomaco il 9 febbraio del 1989, a soli 60 anni, nello stesso anno della morte dell’Imperatore Hirohito[6]: due scomparse che avrebbero marcato la fine di un’epoca.

[1] Nello stesso anno diventò direttore della Japan Animation Association (Nihon Animēshon Kyōkai, conosciuta con l’acronimo dall’inglese JAA), incarico che dopo la sua morte avrebbe ricoperto Kawamoto Kihachirō. Attuale direttore della JAA è Furukawa Taku.

[2] Nel 1984 l’italiana Rai chiese a Tezuka di ideare e coprodurre internazionalmente vari episodi animati tratti dalla Bibbia e destinati al piccolo schermo, un’avventura che si concluse a distanza di anni nel 1992, dopo la morte dell’artista: In principio: Storie dalla Bibbia di Tezuka Osamu (Tezuka Osamu no kyūyaku seisho monogatari, serie completata dal regista Dezaki Osamu).

[3] Dal 1978, l’emittente NTV ha mandato in onda annualmente una sorta di Telethon intitolato L’amore salva la Terra (Ai wa chikyū o suku). Per l’occasione, la Tezuka Production ha prodotto alcune animazioni, incluse alcune di quelle qui citate, tra le quali Il super espresso sottomarino Marine Express (Kaitei chōtokkyū Marine Express, 1979) e la serie conosciuta con il titolo Lion’s Book che include, tra i vari titoli, Il gatto verde (Midori no neko, 1983).

[4] Intervista a Tezuka disponibile al link http://www.youtube.com/watch?v=84zODYMmUMU.

[5] Tezuka Makoto, figlio dell’artista e a sua volta regista (in questa veste preferisce trascrivere il suo nome come Tezka Macoto), ha dichiarato in più occasioni di voler portare a termine l’opera del padre, ma purtroppo il progetto non si è mai concluso.

[6] I funerali dedicati all’Imperatore sollevarono varie polemiche a causa degli elementi shintoisti utilizzati, che ne offrivano un’immagine ancora parzialmente divina: morivano così due simboliche divinità.

Estratto da "ANIMERAMA - STORIA DEL CINEMA D'ANIMAZIONE GIAPPONESE", Venezia, Marsilio, 2015

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