Breve storia dell'umorismo in Giappone
In genere, il primo episodio “comico” a cui si fa riferimento quando si traccia una storia dell’umorismo nipponico è quello riportato dal Kojiki a proposito della Grotta della Dea del Sole, Ama no Iwato. Il testo classico narra di quando Amaterasu Omikami si nascose in una grotta perché indignata nei confronti del fratello Susanoo , e così facendo causò l’oscuramento del sole. Per convincerla a uscire dal suo riparo e ripristinare il ciclo solare, la dea dell’alba Ame no Uzume no Mikotoapprontò una danza in prossimità della grotta, spettacolo che provocò grande ilarità tra le divinità che le erano accanto. Incuriosità dalle loro risa, Ametarasu riaffiorò dal suo nascondiglio, e con lei tornò la luce. A partire da questa prima testimonianza, la figura di Ame no Uzume è destinata a tornare nel repertorio folcloristico. E’ proprio da questa leggenda che trae origine il kagura , la più antica forma di danza giapponese, e in seguito si riscoprirà la figura di Ame no Uzume anche in repertori teatrali, in particolare nel kyogen, dove viene associata a figure femminili dalla peculiare sensualità.
Se la letteratura giapponese, nella sua lunga storia, abbonda di riferimenti umoristici, anche musica e vaudeville si sono rivelati veicoli ideali di trasmissione della comicità. Il circense sangaku del periodo Nara, una particolare mistura di musica, acrobazie e pantomima, ricorreva all’umorismo come base per suoi canovacci. In seguito, molte forme di spettacolo annoverarono repertori comici: il sarugaku , per esempio, precursore del no e del kyogen (quest’ultimo, come il joruri, a sua volta carico di elementi comici), conteneva veri e propri episodi umoristici in forma di dialoghi, che si alternavano a danze e improvvisazioni musicali dal timbro gioioso. La danza era in grado di offrire la sua essenza comica in pochi gesti stilizzati: basti pensare ai repertori dei taikomochi (in seguito conosciuti come otogishu, cioè gli intrattenitori con repertori d’arte) a partire dal tredicesimo secolo, che utilizzavano il corpo come icona delle note umoristiche della loro recitazione.
Il vaudeville yose, con le sue rappresentazioni di rakugo (racconti comici narrati da un singolo performer) e manzai (duetti comici), è il contesto comico più popolare nella storia moderna della cultura giapponese, destinato nel corso del ventesimo secolo a un quasi totale declino proprio a causa del cinema, che dalla sua nascita ne ha assorbito energie e repertori. Il suo successo raggiunse punte elevate nel corso del periodo Tokugawa, tratto di storia del Giappone particolarmente travagliato nel suo assetto sociale. L’intrattenimento avveniva inizialmente negli spazi intorno ai templi, e solo a partire dal diciottesimo secolo furono costruiti i primi edifici destinati allo yose, dove le rappresentazioni avevano mediamente la durata di tre ore e contemplavano un numero molto ampio di repertori.
La storia del rakugo, almeno fino all’”insediamento” nel contesto dello yose, è stata soprattutto quella di un intrattenimento itinerante: seduto su un cuscino agli angoli delle strade, il rakugoka (questo il nome dell’artista, che approdava alle scene dopo un lunghissimo tirocinio) simulava la voce di più personaggi esaltando la loro gestualità con l’ausilio di pochi oggetti “di scena” (un ventaglio di carta, per esempio). Nelle sue narrazioni, rinverdiva repertori differenti — non solo umoristici, ma anche carichi di pathos e legati al sovrannaturale — tramandati di generazione in generazione, che si concentravano su differenti tipologie umane (samurai, suocere, commercianti e quant’altro si offrisse alle invettive ironiche di questi abilli caratteristi), non di rado ricorrendo all’improvvisazione se ispirato da uno spettatore in loco. Dopo la quasi totale scomparsa di questa forma di intrattenimento all’inizio del ventesimo secolo, la loro popolarità ha trovato nuova linfa nell’ambito della televisione, nella forma dei programmi definiti owarai bangumi (variety show, di cui si registra un vero e proprio boom in questi ultimi decenni).
Il manzai è un tipo di commedia stand-up in cui due attori (chiamati manzaishi, talvolta presenti in scena in tre) scambiano un teso e concitato dialogo comico. Di norma, uno dei due, definito boke, esprime idee più stupide che diventano oggetto dell’invettiva da parte del secondo, chiamato tsukkomi. Le loro performance adrenaliniche e surreali si ispirano direttamente alle infinite sfaccettature della natura umana, esplorata in momenti del quotidiano, quasi sempre poco rilevanti. Grazie a questo “disimpegno”, il manzai ha rappresentato nel corso dell’impennata nazionalistica del ventesimo secolo, insieme al fumetto e all’animazione, un ottimo strumento per rinfrancare il morale delle truppe impegnate all’estero nel conflitto, per alleviare la pena di quanti erano rimasti in patria, nonché per deformare grottescamente l’immagine del nemico da combattere.
Così come è accaduto per il rakugo, il trasferimento quasi totale del manzai dalle scene teatrali al contesto televisivo e radiofonico è stato più che naturale: rappresentazioni di stand-up comedy accompagnano oggi la audience televisiva in alcuni dei momenti familiari più intimi e importanti, per esempio nei palinsesti programmati per il Capodanno. Le performance dei manzaishi sono tra le poche a cui viene perdonata persino l’irriverente satira sociale, elementi che hanno reso famoso, tra gli altri, l’oggi regista e attore Kitano Takeshi, esordito, come è noto, con il nome d’arte Beat Takeshi nel duo manzai Two Beats.
Estratti da "UMORISMO E CINEMA: LA COMMEDIA ‘IRRIVERENTE’ IN GIAPPONE," in L. Bienati, M. Mastrangelo, Un'isola in Levante - Saggi sul Giappone in onore di Adriana Boscaro, Napoli, ScriptaWeb, 2010