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L’IMMAGINE IMPLOSA: IL CINEMA DI ISHII SOGO

Ishii Sogo è stato senza dubbio tra gli esordienti più interessanti della cinematografia giapponese degli anni Settanta. Dissacrante, caustica, sperimentale e ipermediale, la sua filmografia resta a oggi una delle più appetibili per i circuiti cult internazionali. Il suo nome, legato al mondo musicale oltre che cinematografico, rappresenta quasi sempre la garanzia di una vertigine di forme e di ritmi, la sovversione di percorsi canonici di genere, lo slittamento in un mondo fantastico e psicotropo.

Il suo primo film girato a soli diciannove anni in 8 mm (più tardi gonfiato a 35mm), Panico al liceo, indicava già con forza la sua potenziale unicità di stile e di narrativa: utilizzando la rivolta di un giovane armato contro il sistema educativo di una scuola superiore, parafrasava il disagio provato dai giovani della sua generazione rispetto a un più ampio sistema sociale da cui si sentivano violentemente piegati. Il successo, prorompente, era in un certo senso inevitabile.

Pazzo Thunder Road, girato in 16 mm e poi gonfiato a 35 dalla Toei, con il suo messaggio di ribellione sociale tornava a essere un inedito ritratto, estremamente violento e nichilista, anche se a tratti umoristico, del mondo giovanile. Il montaggio adrenalinico e sperimentale delle scene contribuiva a lasciare iconograficamente scivolare i giovani motociclisti protagonisti della pellicola in un gorgo di disperazione, in un’esistenza liminale e da deriva umana. Una caratteristica poi ritenuta eccessiva dal comitato di censura giapponese che ne denunciò gli eccessi, contribuendo però a fare del regista un’icona cult.

Dopo essersi avvicinato al mondo musicale e underground della capitale, nel 1981 realizzò il cortometraggio Shuffle: si trattava in un certo senso di una lunga scena in cui veniva rappresentata una folle rincorsa. Giocata su selvaggi schemi stilistici che sottraggono dalla vista il senso e l’angoscia che muove il protagonista, indica una volta di più la sua nuova concezione dell’immagine e della forma studiate per violentare e fare implodere piuttosto che svolgere e chiarire.

Il contrattacco dell’Asia è la risultante di un’ulteriore sperimentazione in ambito musicale. L’ambiente cyberpunk del film ripropone inoltre in filigrana, come nei primi titoli, la denuncia verso le costrizioni sociali, tema divenuto poi cardine nel primo film acclamato in Occidente di Ishii, il divertente Famiglia pazza. In questa black comedy che qualcuno ha definito come nuovo tipo di home drama in Giappone, i membri di una famiglia appena trasferitasi in una nuova e più ampia abitazione danno gradualmente segni di squilibrio mentale, amplificando nella loro caratterizzazione caricaturale varie “patologie” della famiglia tipo giapponese: ossessioni legate a un ideale di famiglia felice e rappresentate dalla casa-status symbol (il padre), ma che degenerano in grottesche amplificazioni delle manie, del sesso (la madre), della gloria militarista (il nonno), dell’hi-tech (il figlio), e così via. La disgregazione della happy-family, poi divenuta tema di molte black comedy di questi anni, viene qui resa tangibile e sconcertante attraverso vorticosi colpi di scena (nei momenti in cui i membri della famiglia tentano di uccidersi l’un l’altro), dove il ritmo coinvolgente e agile rende particolarmente fluidi le derive e il disadattamento.

Dopo qualche cortometraggio di ulteriore sperimentazione (alcuni tra i più importanti presentati nel corso di questa rassegna), nel 1994 Ishii realizza lo psycho-thriller Polvere d’angelo. E’ un insolito ritratto di un serial killer girato senza puntare sugli effetti dei movimenti di macchina, quanto piuttosto concentrandosi sui meandri mentali dei quali il crimine si alimenta. L’ambiente si tinge di un’atmosfera surreale e coinvolgente che, con l’aggiunta di elementi di mistero e di inquietudine, il regista sperimenta nuovamente in Agosto in acqua e, qualche anno più tardi, nel film in bianco e nero Labirinto di sogni. Questi tre titoli indicano il percorso intimo e personale seguito da Ishii nel corso della sua evoluzione rispetto all’età giovanile, una formazione graduale e spirituale che lo conduce presto all’accattivante forma di regia per cui oggi è noto.

Quando nel 2000 realizza Gojoe, una particolare lettura di un’antica leggenda giapponese ambientata nel dodicesimo secolo e riproposta con ritmo inedito e incalzante, la maturazione stilistica e narrativa dell’autore è effettivamente di alti livelli. L’ultimo titolo della sua filmografia, Mente riflessa, segnala in più una nuova concezione dell’essere umano, qui non solo rapportato alla società e alla sua dissacrazione, ma anche in preda a una lotta interiore rispetto alla propria fisicità (nella metafora della città contrapposta alla natura dell’isola di Bali). In entrambi i film Ishii controlla la materia filmica offrendo scene di notevole risultato seppure formalmente “pulite”, essenziali. Il rigore registico che lo distingue gli permette di manipolare la forma con effetti di estrema fisicità, un sistema che violentemente coinvolge i sensi e rende il suo cinema un’affascinante metafora della follia umana.

Introduzione al catalogo della rassegna speciale dedicata a Ishii Sogo nel 2007 nell'ambito delle attività dell'Istituto Giapponese di Cultura in Roma.

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