Himizu (Sono Shion, 2011)
Himizu è un film intimo, principalmente dedicato a un gruppo di sopravvissuti dal disastro dell’11 marzo, che vive in una sorta di baraccopoli ai limiti di un’anonima città, in un posto qualunque, un luogo la cui identità nazionale sembra essere stata sommersa dallo tsunami. Himizu ne ritrae con incisività lo stato apocalittico di confusione morale e psicologica, ricordando gli affreschi desolati sul dopoguerra proposti da Kurosawa nei suoi film degli anni Quaranta.
Qui non solo morte e distruzione, la tragedia ha anche causato un ribaltamento manicheistico nel rapporto genitori-figli della società giapponese. E’ attraverso giovani come i protagonisti Sumida e Chazawa — su cui grava pesantemente una sorta di “promessa di morte” fatta dai loro genitori — che dovrebbe essere ricostruita la nuova società, poiché la loro innocenza li rende capaci di sognare, come il loro professore a scuola ripetutamente suggerisce loro di fare.
Il progresso verso un futuro sbiadito va guadagnato passo dopo passo, anche se passando attraverso dolorose lacerazioni. C’è ben poca sentimentalità da condividere, tutti ormai vivono ai limiti di un paesaggio di macerie. Solo un gruppo di barboni dimenticati dal mondo, che trascorre il tempo costruendo una “casa dei sogni” — poche tende e un bidone da usare come vasca da bagno mentre si osserva il cielo —, aiuta i due giovani protagonisti a fuggire dalla loro cupa quotidianità. Sono questi homeless che lavorano insieme per apportare migliorie alla Boat House di Sumida, luogo simbolo del rinnovamento, imagine speculare della baracca diroccata nell’acqua, che perpetuamente ricorda il disastro e il passato.
Non meno importante è il ruolo dello yakuza cinico e disilluso Kaneko, che riconosce nel giovane il se stesso di un tempo. Sta a lui scuotere il dolore di Sumida senza compassione, offrendogli una pistola, segno della necessità di agire con determinazione per riuscire a proiettarsi nell’età adulta.
Sumida desidera diventare un uomo rispettabile, benché viva quotidianamente in un mondo violento di cui non conosce alternative. Uno strumento per migliorare la propria vita gli giunge da una poesia suggestiva: tratte dai versi di François Villon consigliati dalla sua giovane amica Chazawa, le parole “conosco tutto tranne me stesso” diventano una sorta di parola d’ordine per la felicità e gli suggeriscono il sentiero da intraprendere. Alla fine, comprende che tutto ciò di cui ha bisogno è trovare la propria unicità, dimenticando il duro passato da incubo, tuffandosi nel suo mondo di sogni e correndo verso il futuro.
Realizzato da Sono con stile mai adorno, così da permettere che siano i personaggi a esprimersi con forte impatto emotivo, Himizu è un meraviglioso omaggio all’innocenza.
Breve recensione pubblicata nel press-book del film distribuito in occasione della presentazione alla Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia