Il Narutaki gumi e Yamanaka Sadao
All’inizio degli anni trenta otto giovani cineasti di Kyoto si riunirono in quello che definirono il “gruppo Narutaki” (“Narutaki gumi” dal nome del loro quartiere di residenza). Proposito di questi giovani — allora solo poco più che ventenni — era di riformare il jidaigeki sfrondandolo delle connotazioni elegiache a cui dovevano il successo registi del calibro di ItØ Daisuke, per conferirvi invece un carattere realistico e vagamente ironico in grado di accorciare le distanze con lo spirito e le potenzialità dialettiche dei gendaigeki.
Il gruppo realizzò per differenti case di produzione vari progetti, da sceneggiature a regie, usando l’unico pseudonimo di Kajiwara Kinpachi, e riuscì così a imporre a più livelli la propria linea originale, oggi spesso definita “prima Nouvelle Vague giapponese”. Forte di un linguaggio verbale semplice, seppure dotato di un’ampia gamma espressiva, il gruppo indipendente, sostenuto anche dalla stampa del periodo, mirava soprattutto a sfumare nei jidaigeki l'idea di autosacrificio di cui questi si facevano bandiera, sostituendovi un campionario di comportamenti meno romantici ma più vicini alla realtà, un modello nel quale fosse più semplice identificarsi. Alcuni dei membri del “Narutaki gumi” sarebbero in seguito diventati maestri del cinema giapponese, come i registi Inagaki Hiroshi e Arai Ryohei e lo sceneggiatore Mimura Shintaro, ma l'attività del gruppo si legò in particolare al percorso artistico del suo leader, il giovane Yamanaka Sadao, e si concluse con la morte di questi nel 1938.
Yamanaka aveva lavorato per cinque anni come sceneggiatore e aiuto regista presso gli studi Makino quando, a soli ventiquattro anni, debuttò come regista con Genta di Iso: costretto a dormire sempre con la spada al fianco (Iso no Genta - Dakine no nagawakizashi, 1932). Nell’arco di cinque anni girò ventiquattro film, dei quali purtroppo ce ne sono rimasti solo tre. Si trattava di opere attraverso cui il regista poté esplorare quasi tutte le varianti del jidaigeki, dai chanbara agli yakuza e matatabi eiga, uno sperimentalismo ad ampio raggio che gli permise risultati unici per quei tempi. Jidaigeki letti con gli occhi di uomo moderno, realista e polemico, qualità condivise dal suo contemporaneo Itami Mansaku, e che avrebbero fatto di Yamanaka un simbolo di libertà espressiva per quasi tutte le generazioni che seguirono. Un valore innovativo che i vari premi ricevuti nei pochi anni di attività riconobbero, ma che purtroppo andava a cozzare con la repressione di pensiero che seguì l'ondata probellica degli anni. Proprio per questo, nel 1938 Yamanaka fu mandato in Manciuria come soldato semplice e lì morì.
Il concetto di rinnovamento di Yamanaka si basa su una struttura filmica molto semplificata rispetto all'insieme di codici utilizzati al tempo per i jidaigeki. In particolare si sottolinea l'emergere del soggetto sulle categorizzazioni sociali: i suoi protagonisti non sono soltanto samurai destinati a gesta eroiche, ma anche gente comune nel comune quotidiano. Il tessuto filmico rifugge dalle tendenze sperimentaliste di stampo europeo diffuse in quegli anni, e preferisce invece un intreccio di tipo hollywoodiano, una struttura “limpida” che permettesse una denuncia sociale più palese di quanto non fosse possibile con un film di tendenza, pur evitando le asperità del linguaggio dichiaratamente politico. Sono tante le influenze hollywoodiane che la critica ha riconosciuto nel cinema di Yamanaka. Tuttavia, nel suo caso non si tratta certo di un'accondiscendenza aprioristica ai codici americani, che diventano invece per lui strumenti per creare nuovi, inediti modelli. Si parla spesso dei suoi adattamenti di famosi successi, come Grand Hotel di Goulding in Kunisada Chuji (id., 1935), It Happened One Night di Capra in La strada maestra di Gentaro (Gentaro Gaido, 1934), Lady and Gent di Roberts in Tange Sazen minore - Un vaso che vale un milione di ryo (Hyakuman ryo no tsubo, 1935), e così via fino a Ford, Feyder, Hawks e altri ancora. Ma sono riferimenti nella maggior parte dei casi vagamente riconoscibili nelle sue opere, poiché Yamanaka li ricrea in situazioni, vitalità, personaggi tutti nipponici, ben distanti dai modelli originali. Sono stimoli per la sua tendenza alla commedia, alla rappresentazione della gamma di versioni populistiche che ridicolizzano — gentilmente — il mito del bushidØ con una genuinità antintellettualistica.
Lo stile di Yamanaka è unico e sperimentale per la sua generazione. Usa per lo più campi lunghi e raramente primi piani. La macchina da presa, spesso distante dai personaggi, è quasi immobile, abbracciando però uno spazio dinamico. I frequenti spazi vuoti nell'immagine che si alternano al “tutto pieno” gli servono per creare un raccordo tra le inquadrature. Sull'asse visivo, che nella maggior parte dei casi si apre perpendicolare alla macchina da presa, i personaggi entrano ed escono lateralmente con un ritmo sempre rinnovato, concatenando singole esperienze del vivere. I dialoghi, lirici seppure basati su un linguaggio moderno e semplice, e ancor più la scelta di musiche in grado di significare le priorità dei soggetti, sono in realtà elementi tipici dei gendaigeki, così come i temi, prevalentemente basati su scene di vita quotidiana tra i ceti più popolari.
In molti dei suoi film Yamanaka si avvalse della collaborazione della troupe teatrale Zenshinza, abilmente rieducata dal regista a toni e gestualità nuovi rispetto all'artificiosità del loro repertorio usuale. Era questo un modo in più per partire dalla tecnica più pura del jidaigeki, che doveva appunto al teatro le sue matrici primarie, per liberarlo dagli artifici “sublimi” che tanto peso avevano nell'immagine stereotipata dell'eroe. Su una base storica distante, il periodo Tokugawa, Yamanaka schizzava personaggi e temi volutamente rievocativi degli eventi e dei protagonisti della politica dei suoi anni. Attingere dal passato per rievocare il presente era in realtà operazione alquanto consueta per il cinema giapponese, come già abbiamo visto, ma poiché Yamanaka non prediligeva grandi gesta o figure emblematiche, per la prima volta andarono in scena le reazioni, i sentimenti della gente comune, di quanti nella storia non sono quasi entrati. In seguito altri grandi registi come Mizoguchi sarebbero riusciti a rendere lo stesso omaggio lirico all'uomo, ma Yamanaka doveva muoversi tra strettoie censorie e proibizionismi, e nonostante ciò l'esplicita naturalezza delle sue asserzioni ebbe un grande riscontro di pubblico.
Tra uomini comuni e momenti di vita quotidiana, va da sé che restava ben poco di romantico nelle sue opere. Si è parlato invece di un aspro neorealismo, di un'incessante operazione, cioè, di rilettura realistica attraverso la quale l’umanità si mostra nella sua drammaticità più totale, nella complessa problematica di cui si costituisce l'esistenza di ognuno. Storie di ladri, di uomini comuni e persino di yakuza: al di là della sottile vena umoristica della situazione, emerge l'onda pessimistica che grava su di loro, un intrigo di sopraffazioni e prevaricazioni da cui molti non escono vivi. Il personaggio antieroe, come in ogni buon jidaigeki, è spesso un rØnin (da notare la lunga collaborazione di Yamanaka con gli attori Okochi Denjiro e Kataoka Chiezo), tale non solo perché senza padrone, ma soprattutto perché senza lavoro. Uomini veri, con problemi reali, legati a donne sfortunate e in qualche modo eroine — stessa immagine, questa, come vedremo, dei film del nipote di Yamanaka, il regista Kato Tai. Sono uomini che si battono, pur se non in duelli alla ItØ, solo per capire quanto succede intorno a loro nella speranza di libertà. Alcuni dei suoi personaggi erano stati già portati in film da altri registi, come il Kunisada Chuji di Ito, ma a differenza di questi eroi nichilisti, Yamanaka preferisce il campionario umano degli abitanti di un nagaya, come aveva fatto per L'elegante spadaccino (Furyu katsujinken, 1934), e l'ineluttabilità del destino umano indicato dal rincorrersi delle stagioni a cui fa eco la caducità della vita. Era già un classico anche il personaggio Tange Sazen in Tange Sazen minore - Un vaso che vale un milione di ryo, l'eroe senza un occhio e senza un braccio simbolo della possibilità di riscatto dal destino umano. Calato in un ambiente reale nel film di Yamanaka, Tange risulta umoristico nella sua storia d'amore con la proprietaria del circolo di tiro con l'arco. L'uso prevalente di piani lunghi e medi crea un nuovo tipo di coinvolgimento negli spettatori e smitizza la carica espressiva dell'unico occhio di Tange reso celebre dai primi piani di Ito.
Per il secondo film che ci è rimasto di Yamanaka, Kouchiyama SØshun (id. 1936), oltre alle possibilità spaziali, il regista seleziona ulteriormente anche il coordinamento temporale delle scene, calibrandolo affinché ogni oggetto possa esprimersi del tutto e la dinamica complessiva del film risulti fluida e reale. Nonostante il tema già trattato in molti jidaigeki precedenti, quello del samurai che si schiera dalla parte dei deboli (in questo caso una coppia di fratelli) contro un gruppo di potenti sfruttatori preveda un grande numero di lotte e duelli, qui c’è un’unica scena di spade e solo in chiusura del film, non ripresa però con quel dinamismo a cui Ito Daisuke aveva abituato il suo pubblico, ma con lo stesso ritmo pacato dell’intero film. Inoltre, prima che KØuchiyama ricorra alla spada, non si oppone a che sua moglie faccia con il proprio corpo da scudo per salvare il marito e gli altri nella locanda, e configura così nell’immagine della donna la “dolce forza” di cui vuole dotare i suoi eroi. Non c’è neanche una scena che renda l’epoca Tokugawa leggendaria: ogni istante appartiene a un suo presente dilatato, la gente si muove in un reale corso di vita con le sue normali implicazioni umane, affolla e attraversa lo spazio inquadrato da una macchina da presa quasi sempre immobile.
Con Sentimenti umani e palloncini di carta (Ninjo kamifusen, 1937), l'ultimo film di Yamanaka, lo stile e l'indirizzo poetico dell'autore sono a un livello di sublimità. E' di gran lunga l'opera più pessimista del regista, come già sottolineato dalla sequenza di apertura della morte del samurai che si è suicidato “come un mercante” poiché aveva dovuto vendere la sua spada per fame. L'intero film è strutturato secondo una rigorosa geometria spazio-temporale. La prima e l'ultima inquadratura sono identiche, lo stesso corso d'acqua ripreso dalla stessa angolatura, ma mentre nella prima la pioggia — l'imprescindibile elemento naturale — cade implacabile sulle storie della piccola umanità, nell'ultimo un palloncino di carta trasportato dall'acqua vuole rappresentare il corso dell'esistenza. Circolare è anche il percorso tragico della trama che si apre con la morte del samurai per concludersi con quella del protagonista. Infine, il contrappunto musicale viene usato solo nelle scene di apertura e di chiusura del film, ed esilia così ulteriormente il racconto al suo spazio di evento particolare. Anche le inquadrature sono studiate secondo un preciso ordine geometrico: la maggior parte delle scene si apre sul piccolo vicolo — ancora una volta ripreso perpendicolarmente rispetto alla macchina da presa — dove i personaggi vivono, e sono questi che entrano ed escono dall'immagine animando ogni punto dello schermo, stordendo con voci e volti fino a scomparire del tutto, lasciando lunghi campi vuoti a cui il regista raccorda nuove immagini. I volti e le posizioni sullo schermo si ripropongono poi sempre uguali a se stessi, riconducendo di continuo al centro umano-visivo delle prime scene.
Corre nei dialoghi uno humour sottile, ma l'intero film e le sue connotazioni esistenziali sono di gran lunga le più pessimistiche dell'opera di Yamanaka. E' quindi un jidaigeki girato con lo spirito di un gendaigeki, ricco di una complessa rete di sentimenti che valse alla pellicola il settimo premio nella classifica dei “Best Ten” di Kinema Junpo e, purtroppo, la condanna al fronte per il regista per il chiaro messaggio di eversione che l’opera sottintendeva.
Estratto da "Storia del cinema giapponese", Venezia, Marsilio, 2001.