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Tanizaki Jun'ichiro e il cinema

Il legame tra lo scrittore Tanizaki Jun’ichiro e la storia cinematografica giapponese nasce già dagli esordi della settima arte. Si racconta infatti che il celebre scrittore avesse assistito alla sua prima proiezione cinematografica a soli dodici anni, una sorta di presagio dell’appassionata stagione di impegno in ambito filmico che sarebbe seguita da lì a poco. Sembra anche che, ad attrarre il giovane autore, fosse la malia muliebre delle celebri star hollywoodiane, presto fatte rivivere nelle sue opere letterarie in personaggi diventati indimenticabili riferimenti femminili nell’intera letteratura giapponese.

Le prime esperienze dirette “sul campo” avvengono a partire dal 1917, quando Tanizaki si interessa all’allora fervido “Movimento per il cinema puro” (Jun eigageki undo), una delle prime voci a esaltare l’autonomia del mezzo filmico rispetto all’ingombrante progenitore teatrale da cui il cinema aveva mosso i primi passi. A partire da questo momento, lo scrittore percepisce la forza espressiva delle immagini rese dal nuovo mezzo e ne concepisce un’ideale fusione con il testo letterario. Tra i primi autori ad amare il cinema di Chaplin in Giappone, Tanizaki rende subito chiara la sua preferenza per la commedia energica e “caricaturale” di stile americano rispetto a quella di matrice teatrale autoctona, taglio che prediligerà nelle sue future esperienze cinematografiche. Sottolinea inoltre l’importanza del testo contemporaneo rispetto a quello attinto dal passato, della forza dei tratti narrativi ispirati alla realtà piuttosto che delle sfumature elegiache e distanti.

Il suo impegno si spinge alla trascrizione di saggi teorici sul cinema e, ancor più, alla collaborazione attiva con la neonata casa di produzione Taikatsu (abbreviazione di TaishØ Katsuei, nata nel 1920). Caratteristica principale di questa piccola società e delle contemporanee produzioni indipendenti è di voler ricreare nel modo più fedele la formula vincente del cinema statunitense, identificata soprattutto nello stile di recitazione dei suoi attori, nell’agilità narrativa della sceneggiatura e nell’intervento di un regista di tipo “imprenditoriale”. Compito di Tanizaki, che a queste esperienze partecipa con il regista Kurihara Thomas, è di effettuare la supervisione dei testi delle sceneggiature. Tra il 1920 e il 1921 lavora a ben cinque titoli: Amateur club (Amachuaa kurabu, 1920), Le spiagge di Katsushika (Katsushika sunago, 1920), La notte della festa delle bambine (Hinamatsuri no yoru, 1921), Lo splendore della luna (Tsuki no kagayaki, 1921) e La passione del serpente (Jasei no in, 1921). L’ultima opera vede tuttavia in disaccordo Tanizaki e il regista Kurihara, motivo della loro definitiva separazione e dell’allontanamento del nostro dal mondo della celluloide.

L’interesse dello scrittore per un impegno attivo in ambito cinematografico si stempera ancora di più dopo il suo trasferimento nel Kansai, in seguito al terremoto del KantØ. Nonostante l’indissolubile legame tra la sua intera opera e le icone cinematografiche amate nel tempo, la sua passione per il cinema trova esplicitamente spazio solo nel suo celebre “Libro d’ombra (In’ei raisan, 1935), tra le poche righe che descrivono l’effetto della fotografia nel cinema. Ma il suo universo letterario continua suo malgrado a riversarsi nel mondo delle immagini in movimento.

Sono più di quaranta gli adattamenti cinematografici realizzati fino a oggi a partire dalle sue opere letterarie, il che lo rende uno degli scrittori più amati dai cineasti di ogni generazione in Giappone. Quasi mai, tuttavia, le trasposizioni a cui ha potuto assistere lo hanno soddisfatto: sono infatti rari i casi in cui Tanizaki non se ne sia dissociato perché non vi riconosceva lo spirito del testo originario. Nell’insieme, alcune opere ricorrono con maggiore frequenza, e tra questi Manji, l’opera selezionata per questo saggio, uno dei suoi titoli più noti in Occidente. Sono ben quattro le pellicole che ne ripropongono l’intreccio torbido: l’omonimo film che sarà qui analizzato, girato nel 1964 da Masumura Yasuzo; il minore (e sempre omonimo) lungometraggio realizzato nel 1983 da Yokoyama Hiroto; il libero adattamento di Liliana Cavani del 1985, dal titolo Interno berlinese; infine un altro film con lo stesso titolo del romanzo, ma dal mediocre risultato, a opera di Hattori Mitsunori (1997).

Estrattp da "Translating Imaginary Into Images: Manji" in L. Bienati; B. Ruperti A Cura Di, The Grand Old Man And The Great Tradition - Essays On Tanizaki Jun'ichiro In Honor Of Adriana Boscaro, Ann Arbor, Center For Japanese Studies - The University Of Michigan, 2009

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