ANIMERAMA - Anticipazione: Kurosaka Keita
KUROSAKA KEITA
Anche Kurosaka Keita rientra tra le personalità di maggiore spicco degli ultimi decenni. La sua filmografia ha ottenuto riscontri molto lusinghieri, non solo tra i circuiti di videoarte e di animazione, ma anche tra quelli più commerciali come MTV. Laureato all’Università Musashino Art nel 1979, Kurosaka in seguito trascorse due anni a Parigi, dove studiò pittura a olio presso la Scuola Nazionale Superiore di Belle Arti sotto la guida di Jacques Yankel. Anni dopo, Kurosaka avrebbe dichiarato di essere stato fortemente influenzato dai muri di Parigi, dai volti delle signore e dai poster pop affissi in giro per la città, elementi che gli permisero di riconsiderare la sua Tokyo sotto una nuova luce. Tornato in Giappone, cominciò a studiare cinema presso l’Image Forum e cercò di definire quale fosse per lui la migliore forma di espressione. L’idea di “animazione” nel suo caso è in un certo senso ambigua, come si comprende dalle sue parole: “Io non mi ritengo un animatore. Ho mosso i primi passi nel mondo dell’arte contemporanea. Ho sempre cercato di mettere a punto un modo per rendere la dimensione del tempo nella mia opera. (…) Come artista, il mio più grande problema era trovare una forma di espressione che producesse nel regno della pittura lo stesso effetto della musica — un impatto tale da raggiungere lo stesso spazio temporale e spazio fisico tra un gran numero di persone. E’ stato un caso che questo si rivelasse un video e, in termini di tecniche specifiche, all’interno dell’inquadratura di animazione, ma per me l’animazione non è mai stata altro che un’estensione del mio lavoro pittorico.”[1]
Per le sue opere Kurosaka utilizza differenti tecniche: non solo animazione tradizionale e kirie, collage e fotografie, tutto ciò che gli permette di esplorare la società contemporanea entra in gioco con la stessa valenza (e violenza). Il suo esordio alla regia consiste in un gruppo di cinque cortometraggi girati tra il 1982 e il 1986, complessivamente intitolati Cinque opere di metamorfosi (Henkei sakuhin dai 5 ban), con cui si muove alla ricerca della natura dell’uomo, anche attraverso le proprie contraddizioni. Immagini fotografiche di paesaggi naturali e kirie vengono trasformati e rivisitati in diverse prospettive e gamme luminose, tra la stasi e il movimento, mentre l’autore cerca nel mondo anche le origini dell’arte stessa, come nell’omaggio dedicato a Rembrandt nell’ultimo episodio.
Per Kurosaka la volubilità della natura umana, condizionata dallo scorrere del tempo, dalla mobilità dello spazio e dall’esercizio del potere, spesso dà luogo a metamorfosi che assumono in molti casi caratteri anche grotteschi. “Illusione” sembrerebbe la parola d’ordine per accedere al suo mondo traslato in immagini, come nei corti La canzone del mare (Umi no uta, 1988, che parte dall’usanza nei villaggi di pescatori di bruciare le barche vecchie per liberarne gli spiriti) e La storia del verme (Mimizu monogatari, 1989, ispirato a “La lepre e la tartaruga”, una riflessione sul potere e sull’errata percezione che possiamo avere dall’apparenza delle cose). La società contemporanea è al centro dei suoi successivi lavori (La città personale – Kojintoshi, 1990, Box Age – id., 1992, Fonografo N. 13 – Chikuonki 13 go, 1993), film che raccolgono intorno all’autore sempre più numerosi consensi di critica, oltre che vari riconoscimenti in patria e all’estero. In alcuni casi l’idea di “metamorfosi” della natura umana prevale rispetto agli altri titoli: La mattina in cui papà è volato (Papa ga tonda asa, 1997, prodotto per MTV, premiato ad Annecy), per esempio, ricorda più degli altri le stesse Metamorfosi kafkiane; l’acclamato e iper-violento videoclip per il brano Le urla agitate delle larve (Agitated Screams of Maggots, pezzo del gruppo Dir En Grey, 2006), presentato al Festival di Rotterdam, è un tourbillon di trasformazioni di una larva dalle fattezze di un demone, che viene tuttavia seviziata da una bambina.
Seppure continuamente impegnato alla regia e nelle attività universitarie, Kurosaka ha contemporaneamente lavorato per 13 anni sul suo primo lungometraggio, da tempo annunciato e atteso dagli estimatori della sua arte, presentato infine nel 2010: Midoriko (id.), opera costituita da ben 30.000 disegni a matita. In un anno imprecisato del ventunesimo secolo, Tokyo è una città semi-apocalittica. Cinque scienziati (ciascuno con il capo sostituito da un segno dei cinque sensi, per esempio una mano) mettono a punto un rimedio per ovviare alla fame nel mondo, un vegetale commestibile, chiamato Midoriko, che tuttavia non intende farsi mangiare e riesce a fuggire dal laboratorio. Personaggi fantastici, trasformazioni, metafore dei sensi umani disseminate tra i prodotti vegetali e quelli fantastici (ogni disegno sfumato nei contorni, pronto a “scivolare” nel successivo), tutto insieme costituisce un film che conduce in un viaggio affascinante prevalentemente visivo, sensuale e terrifico allo stesso tempo, all’insegna del principio primario della sopravvivenza: mangiare o essere mangiato. Le atmosfere da incubo — un debito di Kurosaka verso Jan Švankmajer, uno dei suoi autori più amati, come spesso ha dichiarato —, si arricchiscono di una grafica in chiaroscuro reminiscente allo stesso tempo quella di Hieronymus Bosch e di Francisco Goya, con volti che rimandano anche ai ritratti di Rembrandt, ma con l’aggiunta di improvvisi eccessi di luce dall’effetto orrorifico.
[1] Intervista a Kurosaka Keita a cura di Benjamin Ettinger in Anipages, disponibile al link http://www.pelleas.net/aniTOP/index.php/midoriko_bringiton.
Estratto da ANIMERAMA - STORIA DEL CINEMA D'ANIMAZIONE GIAPPONESE, Venezia, Marsilio, gennaio 2015