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Terayama Shuji: Buttate i libri, usciamo nelle strade (1971)

Sho o suteyo machi e deyo (Buttate il libri, usciamo nelle strade, 1971).

E’ il primo lungometraggio di Terayama. Tratto dal suo romanzo Iede no susume (Consiglio di scappar via di casa), e rappresentato anche come performance teatrale dal suo Tenjo Sajiki, ha vinto il Gran Premio alla Mostra Internazionale del Film d'Autore di San Remo nel 1971. Consiste in 138 minuti di precipitarsi di scene, colori e musiche che descrivono il tentativo di un ragazzo di liberarsi dalla famiglia, dalla società capitalistica e filo-americana in cui vive, dalla frontiera sessuale che lo distanzia dall'essere adulto, dal condizionamento culturale che opprime lui e la sua generazione tramite la stampa e, primo fra tutti, dal mezzo cinematografico che qui lo mette in scena.

Quest'ultimo aspetto, in particolare, viene posto a incorniciare l'intero film, perché fa parte delle due invettive che il protagonista lancia al pubblico nei monologhi di apertura e chiusura. Nel primo, il ragazzo emerge dal buio e siede direttamente in asse con la macchina da presa che fissa per tutto il tempo, diritto fino agli occhi dello spettatore. Nello stretto dialetto del Tohoku, con un linguaggio frontale come doppio dello stesso Terayama, dice: "Che fate seduti al buio nel cinema ad aspettare? Non comincia proprio niente!Lo schermo e vuoto!" Dalla rabbia iniziale data dal rifiuto di essere cinematograficamente rappresentato, passa poi a distruggere i canoni drammatici del film, poiché in pratica ne racconta la trama, le idee e i particolari che più legano la finzione. Nel monologo finale, poi, emergendo da una foto-ricordo che vede riuniti tutti i personaggi apparsi nel film in un unico affresco, urla di odiare il cinema, poiché ogni spettatore dimenticherà quanto visto all'uscita dal cinematografo.

Tra queste due denunce si svolge la sua parodica tragedia e quella del Giappone capitalistico in corsa per il progresso. Il protagonista e un ronin, termine che, da "samurai senza padrone", e usato oggi per designare tutti coloro che falliscono l'esame di ammissione all'universita.

Col senso di inferiorità provato dal ragazzo, contrasta il successo del capitano della sua squadra di calcio, bello e forte (virilità associata a liberta) e socialmente perfetto. In modo differente vi contrasta anche il multi-forme affresco di gioventù alternativa che vive nella grande città, in luoghi di controcultura come Shinjuku (dove anche il ragazzo vive).Per loro urinare sulle sigarette di marca Peace, bruciare bandiere americane, scrivere sui muri o per terra, nelle strade della città, in qualche modo riuscire: a culturalmente dal condizionamento della carta stampata, diventa possibilità di crescita, un teatro di vita che si rappresenta nelle strade e che aiuta il ragazzo a scappare dai confini delle proprie ossessioni. Le iscrizioni serpeggiano ovunque, persino sul letto della prostituta del suo primo rapporto sessuale.

La dimensione più claustrofobica resta quella della famiglia. Il ragazzo vive in una casa vecchia e sporca a poca distanza dai binari di una linea ferroviaria (contrasto tra modernizzazione apparente e stato reale del Giappone). Con lui vivono la sorella, una ragazza che odia gli esseri umani ma un attaccamento anormale per il proprio coniglio; il padre, uno sconfitto dai crimini di guerra a cui non restano che le pratiche onanistiche, e che viene rifiutato perché visto come il risultato più evidente del dominio americano; infine la vecchia nonna demoniaca che fa uccidere il coniglio reprimendo la "liberta sessuale" della nipote. La ragazza, disperata, reagisce scappando via e rifugiandosi nello spogliatoio del campo di calcio, dove pero viene violentata da tutti i membri della squadra. Fuori della porta, il fratello non può aiutarla, ma comincia a provare il desiderio di essere lì a violentarla con gli altri. A questa scena si contrappone quella della sua visita alla prostituta (il cui vero nome e identico a quello della sorella) da cui va per il suo primo rapporto sessuale, poiché e la donna che ha "introdotto" al sesso tutti gli altri ragazzi della squadra. Al di là della realtà, i sogni del ragazzo possiedono un desiderio di vita che si spegne in poco tempo. Prima di tutto di salire su un deltaplano e librarsi in volo. Ci pensa, correndo all'impazzata lungo i binari, urlando: "Sto volando!" inseguito a volo sincopato dalla macchina da presa; vi si identifica, fuggendo dalla casa della prostituta e ogni volta che la realtà fa insostenibile. Ma e un sogno, come gli altri, destinato a sfumare quando il deltaplano nella sua immaginazione prende fuoco. Poi c'e il desiderio di "buttare" via la nonna, che si rinnova nelle successive opere con l'immagine della madre. Ma in particolare, e in più sottolineato dall'orologio a muro nella casa del ragazzo, vi e il sogno di crescere, di liberarsi dall'infanzia, di rompere in mille pezzi ciò che ha intorno e che crea le sue paure, come il suo passato nel Tohoku che invece continua a tornare incessante. Sogna di conquistare la liberta sessuale ricostruendo i tasselli di un mosaico, rappresenti dal fallo appeso come un punching- hall in strada su cui dei passanti sono invitati a sfogare le proprie frustrazioni, o rappresentati dagli shunga appesi nella stanza della prostituta, propri del periodo Edo e residui dell'Akasenchiki.

Cosi come i volti bianchi della gente del passato nei ricordi della nonna, anche il coniglio per la sorella, il deltaplano per il ragazzo, questo punching-ball per la gente, l'onanismo per il padre, sono per Terayama solo "(...) des choses qui remplacent l'essentiel. On a envie de s'envoler, mais on ne peut pas, alors on essaie de faire voler l'avion. On a envie de quelche chose, on ne peut pas l'avoir, alors on caresse le lapin ou le phallus. (...) Tous ces objets ont valeur de symbole. (...): quand il n'y a plus de substitut, qu'est-ce qui arrive? Est-ce que la fiction peut combler ce vide? "

La fotografia e qui quasi sempre molto nitida e in apparenza spesso banale, ma a tratti esplosioni di luce, il colore disteso con filtri sull'intera superficie, le dissolvenze che segnano pause volutamente lunghissime per accentuare l'aspetto tragico o parodico delle parole, la generale semplicita dei movimenti di macchina, tendono tutti a costituire una logica continuativa per le immagini, paesaggio da cui il ragazzo non riesce a sottrarsi.

Una serie di volti sfila in due momenti del film. In una prima carrellata orizzontale, scorrono uomini ripresi frontalmente in immagini velate da un filtro rosso che ne disperde l'identità: ognuno esplica una richiesta a mo' di annunci economici ("cerco moglie", "cerco adepti per il mio clan", ecc.), e ogni personaggio viene posto cosi a rappresentare un frammento della società repressa in cui il ragazzo vive. La seconda carrellata, filtrata in rosso, sostituisce ai titoli di coda i volti di tutti i personaggi apparsi nel film, e quello dello stesso Terayama. Manca pero il ragazzo, che con il suo ultimo monologo ha definitivamente rifiutato la finzione del film.

Estratto da "FORMA DELL'IMMAGINE E IMMAGINE DELLA FORMA: ITINERARIO META-VISIVO NELL'OPERA DI TERAYAMA SHUJI" in Il Giappone, Volume XXXII, 1994,

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