ANIMERAMA - Anticipazione: Esotico, erotico
ESOTICO, EROTICO
Durante la seconda metà degli anni ’60 il mondo del manga aveva raggiunto la sua età d’oro, feconda di nuovi nomi e di riviste specializzate. Nella molteplicità di contenuti, dal dopoguerra si erano via via formati dei macrogeneri — ciascuno contenente altri sottogeneri — in cui si identificavano i principali target: i fumetti per bambini (kodomo manga), per ragazzi (shōnen manga), per ragazze (shōjo manga), per uomini (seinen manga) e per signore (rēdisu manga, dall’inglese ladies). Grazie a questa parcellizzazione, anche il cinema avrebbe trasposto molti titoli riferendosi a pubblici più circoscritti.
In conseguenza al mutare dell’assetto urbano, derivato dal trasferimento di sempre più numerose famiglie nelle periferie, nell’ambito del cinema dal vero nello stesso decennio l’industria filmica aveva puntato sul pubblico residuo nelle aree centrali delle grandi metropoli, cioè giovani single, soprattutto universitari e impiegati, dando il via a una intensa produzione dei generi action e pink (soft core). I manga indirizzati agli adulti seguirono in gran parte la stessa tendenza, proponendo in molti casi personaggi e situazioni che riassumevano al meglio il valore del binomio sesso-violenza così popolare tra le più giovani generazioni, abbinandovi spesso un ambiente occidentale, segno ulteriore del distacco dalle tradizioni[1]. Tra i tanti esempi, uno dei più interessanti era rappresentato dalla serie di fumetti dedicati a Lupin III (Rupan sansei), personaggio inventato nel 1967 da Monkey Punch (pseudonimo di Katō Kazuhiko) su ispirazione del classico ladro gentiluomo Arsène Lupin di Maurice Leblanc. Nelle varie avventure che si susseguirono nella serie, si mescolavano sapientemente elementi di action, comici ed erotici. Nel 1969 fu realizzato un cortometraggio che sarebbe servito come film pilota per la successiva serie televisiva[2]. Girato in Cinemascope per la regia di Ōtsuka Yasuo, e co-prodotto da Tokyo Movie e A Production, il breve film contava su animatori d’eccezione, tra sui Sugii Gisaburō e Kobayashi Osamu. In particolare, Sugii seguiva la caratterizzazione della coprotagonista Mine Fujiko, da lui così descritta: “Fujiko possedeva bellezza, fascino e l’astuzia femminile, la scaltrezza e il senso ironico propri di un mondo adulto[3]”. La presenza di questo personaggio aggiungeva il gradiente ottimale alla già frizzante temperatura emotiva resa dalle avventure, e insieme ad altri personaggi analoghi del periodo contribuì a rinsaldare il successo delle formule erotiche.
In quest’ambito, lo stesso Sugii fu tra i protagonisti con Sugino Akio e Dezaki Osamu di una delle più interessanti avventure produttive a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, la breve serie di lungometraggi riuniti nel titolo Animerama[4] avviata alla Mushi in collaborazione con la Nippon Herald da Tezuka Osamu: Storie delle mille e una notte (Sen’ya ichiya monogatari, 1969), Cleopatra (id., 1970) e La tristezza di Belladonna (Kanashimi no Beradonna, 1973). Il primo, per la regia di Yamamoto Eiichi, racconta le avventure del povero Aladino, innamorato della schiava Miriam: separati da intrighi di potenti, Miriam muore dando alla luce sua figlia, mentre Aladino vagherà in cerca di fortuna e riuscirà a diventare dopo anni re di Baghdad. Ormai potente sovrano, desidera una giovane ragazza, ignorando che si tratti di sua figlia. Sarà infine destituito dal suo ruolo e tornerà a vagare per il mondo. Con la sua durata record di quasi 130 minuti, il film adatta in sostanza con una certa libertà il classico originale a cui si ispira. L’elemento erotico è predominante, giungendo persino agli amplessi saffici e al tabù dell’incesto, ma è subito evidente che la nudità in molte scene serve a disegnare una particolare geografia corporale, spesso in chiave sperimentale: a differenza del cinema pink in cui lo sguardo si concentra sul corpo femminile, in questa saga esotica i corpi maschili assecondano quelli femminili nei movimenti, fondendosi con loro in scene dalla diegesi temporale dilatata, con un effetto “liquido” che ne accentua la sensualità. Una fusione tra estremi che ricorre in altre specificità della pellicola: il chiaroscuro delle scene di apertura e chiusura congiungono gli estremi di ciò che appare e della sua ombra; l’animazione si unisce alle riprese dal vero delle onde del mare, formando un unicum figurativo; infine il commento musicale, una base psichedelica classica per gli anni ‘60, ma insolita rispetto al contesto generale, che pure in questo caso incontra in armonia.
Il successivo Cleopatra, co-diretto da Tezuka e Yamamoto, è un omaggio all’ispirazione artistica di ogni epoca e di ogni popolo, celebrata attraverso una parata incredibilmente ricca delle principali icone che hanno attraversato la storia del mondo, spesso interpretate in chiave parodica. Nel ventunesimo secolo, tre amici accettano di sottostare a un esperimento attraverso cui il loro spirito viene mandato indietro nel tempo in Egitto e reincarnato in altri tre esseri che avvicineranno in modi differenti Cleopatra. Qui potranno assistere ai successi della donna con i suoi amanti: la relazione con Giulio Cesare prima e con Marcantonio dopo accresce il suo potere e conduce gli uomini alla morte, ma il suo fascino si arena nel tentativo di sedurre Ottaviano, che la respinge perché omosessuale. A quel punto accetterà di abbandonarsi alla morte. Anche nel caso di questa pellicola il team di animatori tentò una serie di soluzioni sperimentali, per esempio inserendo l’animazione dei volti nelle immagini di attori live nelle scene ambientate nel futuro, scorrendo dei quadri specularmente con effetto caleidoscopico, o animando tele celebri dell’impressionismo francese, una Monna Lisa denudata, la Giuditta di Klimt per lo stupro saffico e molte altre opere note (compresa una brevissima apparizione di Tetsuwan Atomu). Tra le contaminazioni più interessanti — oltre a una grande quantità di oggetti “fuori epoca” — la lunga scena della morte di Giulio Cesare è rappresentata in puro stile kabuki, epicamente tragica ed esaltata da un fondale geometrico che ricorda al tempo stesso la lenta scansione di fotogrammi e le porte in carta di riso giapponesi. Infine, l’erotismo di cui la stessa leggenda di Cleopatra si compone, ancor più che nel film precedente, qui viene portato in scena attraverso la fusione metamorfica tra i corpi, in cui tuttavia si accentua la deterritorializzazione dei sensi, attraverso linee quasi rarefatte che si dissolvono fino ad annullare i corpi stessi. Il sesso rappresenta infatti sempre più per Cleopatra il segno della propria solitudine, come sottolinea il testo della canzone di base che canta: “Il Nilo scorre, le lacrime di Cleopatra. E’ il deserto. Il vento soffia, i sospiri di Cleopatra” [5].
Nel 1973 il nuovo presidente della Mushi Kawabata Eiichi affidò a Yamamoto la regia del terzo e ultimo Animerama, Belladonna[6], basato su La strega (La sorcière, 1862) di Jules Michelet. Nel giorno del suo matrimonio con Jean, la bella Jeanne viene sequestrata dal signore locale e costretta a una violenta ius primae noctis con i suoi soldati. E’ solo l’inizio di una serie di tristi vicissitudini che l’avvicinano sempre più al demonio (rappresentato in versione fallica), diventando infine una strega. L’epilogo, al di là della sua morte sul rogo, è l’identificazione di tutte le donne in lei, poi protagoniste delle rivoluzioni più determinanti della storia, come quella francese del 1789[7], oltre che della liberazione sessuale degli anni ’60. Belladonna è realizzato con tecniche differenti e secondo un’intensa riproposizione stilistica di derivazione prevalentemente europea: immagini medievali si intersecano a impressionismo e simbolismo, lo stile di Jeanne reminiscente dei corpi di Audrey Beardsley, i colori variano dalle aspre carnalità di Egon Schiele alle scene di angoscia debitrici della lezione di Munch. A queste ispirazioni si aggiungono anche tratti squisitamente nipponici, non solo per le immagini realizzate per il film dal disegnatore Fukai Kumi, ma anche per i panorami a inchiostro e i motivi floreali che hanno ispirato la stessa Art Nouveau, fino a una sorta di mirabilia di pop art giapponese anni ’60. Belladonna si compone in prevalenza di quadri fissi (acquerelli, dipinti a olio, inchiostri, spesso con la sovrapposizione di vetri a loro volta colorati), mentre l’animazione è concentrata in alcuni momenti, soprattutto nelle scene in cui Jeanne subisce violenza. Al centro della inestricabile sciarada di persone e paesaggi che si compenetrano e si trasformano per l’intera durata del film, il corpo della ragazza dalla lunga chioma è quasi sempre centrale e spesso “esposto”, non solo dalla nudità, ma soprattutto perché continuamente al centro dello sguardo degli altri personaggi.
Questo ambizioso progetto purtroppo non fu sufficiente a risollevare le sorti della compagnia: probabilmente penalizzato dalla stretta tessitura artistica, non raccolse consensi tra il pubblico che già amava le altre produzioni pink. Il film è stato rivalutato solo negli ultimi anni, grazie soprattutto alla sua presentazione in prestigiosi festival, tra cui le due avvenute nel 2009 presso il Toronto J-Film Pow-Wow e il Festival del Film di Locarno.
[1] Allo stesso modo, i film action, in particolare quelli dedicati agli yakuza, proponevano spesso le atmosfere dei classici noir statunitensi, così come nei pink non erano rare le location occidentali.
[2] La prima serie televisiva andò in onda a partire dal 1971. Presto seguirono altri adattamenti cinematografici, tra cui il primo lungometraggio di Miyazaki Hayao, Lupin III – Il castello di Cagliostro (Rupan sansei – Kariosutoro no shirō, 1979), che con Takahata era stato tra gli animatori della serie televisiva.
[3] Dal documentario Animation Maestro Gisaburō, Ishioka Masato
[4] Il nome nell’idea di Tezuka riassumeva i termini “animazione”, “cinerama” e “dramma”. Cfr. God of Comics Osamu Tezuka, cit., p. 137.
[5] Il brano Le lacrime di Cleopatra (Kureopatora no namida) interpretato da Saori Yuki è disponibile anche al link http://www.youtube.com/watch?v=HKgV7HahEog.
[6] Direttore dell’animazione era Sugii Gisaburō, e infatti Belladonna deve molto del suo effetto erotico al suo stile, soprattutto nella caratterizzazione della protagonista.
[7] Il film si chiude infatti con l’immagine di La liberazione guida il popolo (La liberté guidant le peuple, 1830) di Eugène Delacroix.
Estratto da ANIMERAMA - STORIA DEL CINEMA D'ANIMAZIONE GIAPPONESE, Venezia, Marsilio, gennaio 2015