Novelization: Eureka (Aoyama Shinji, 2001)
Il fenomeno delle novelization: Eureka di Aoyama Shinji
A partire dagli anni Novanta, un nuovo fenomeno letterario si è imposto sempre più all’attenzione nel mercato giapponese, quello delle novelization dei film. Si tratta in un certo senso della controparte della trasposizione cine- matografica di un romanzo, poiché in questo caso è il film (o in alternativa un’animazione, una serie televisiva, un videogame o un manga) che viene adattato in romanzo, come indica il nome.
Niente a che vedere con la trascrizione della sceneggiatura di una pellicola: con una novelization si conserva la massima fedeltà al film, trasformando però gli effetti visivi e sonori in dialoghi, descrizioni di ambiente, parti narrative. Il risultato finale è quello di un prodotto indipendente dal titolo originale, che in alcuni casi acquista sfumature di senso differenti rispetto alla percezione che se ne avrebbe da pellicola, non di rado grazie al carattere introspettivo conferito ai personaggi. Inoltre, nella maggior parte dei casi, autori dei romanzi sono gli stessi registi della pellicola originale, che talvolta cedono alla tentazione di completare (a volte didatticamente) quanto il film affidava alla percezione degli spettatori.
Il sistema viene oggi applicato di norma ad alcuni prodotti di successo e di cassetta, spesso realizzati in gran fretta perché non si disperda la popolarità dei titoli originali, ma non sono rari i “film d’arte” pubblicati su carta dopo la presentazione su grande schermo. Tra i nomi più noti in Occidenti, la regista Kawase Naomi ha “romanzato” ben due dei suoi film, cioè Suzaku (Moe no Suzaku, 1997, vincitore della Caméra d’Or a Cannes) e Lucciole (Hotaru, 2000), vendendo solo con il primo ben 70.000 copie. O ancora il regista Tsukamoto Shin’ya, che ha scritto il romanzo Il serpente di giugno (Rokugatsu no hebi) dall’omonimo film del 2002, vincitore il Premio Speciale della Giuria nella sezione Controcorrente alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia: una novelization che si distingue dal film per l’inedita caratterizzazione resa al marito della protagonista, qui percepito in un’ottica quasi diametralmente opposta rispetto al suo personaggio portato su schermo.
Tra i casi più interessanti, va tuttavia segnalato il prestigioso premio letterario intitolato a Mishima Yukio conferito al romanzo Eureka (id., 2001), che il regista Aoyama Shinji ha tratto dal suo omonimo film, già vincitore nel 2000 del premio FIPRESCI al Festival di Cannes dello stesso anno. È proprio grazie a quest’opera che al genere narrativo è stata finalmente riconosciuta dignità d’arte, dato che fino a quel momento era considerata una mera attività di pubblicistica commerciale.
Aoyama Shinji, nato a Fukuoka, nel sud del Giappone, è un autore a tutto tondo. A partire da un forte interesse per l’ambito musicale (1), ispirato da Il bandito delle ore unidici (Pierrot le Fou, 1965) di Godard, decide di trasferirsi a Tokyo per studiare cinema. Poiché si era laureato in letteratura americana, riesce a frequentare i corsi di Hasumi Shigehiko all’Università Tokyo, le cui lezioni hanno influenzato un’intera generazione di registi e critici cinematografici. Il suo debutto alla macchina da presa per il grande schermo avviene con Helpless (id., 1996), un film subito molto amato da un’ampia schiera di fan, perché sapientemente calibrato tra il mondo dei b-movies e il cinema più espressamente elitario e d’arte.
Alla carriera da cineasta e di sceneggiatore, Aoyama ha sempre affiancato quella di critico cinematografico e di saggista. Presto il suo mondo si allarga a quello puramente letterario per cui sempre ha nutrito una grande passione: autore di vari romanzi, il suo successo come scrittore è segnato proprio dalla novelization del suo film, grazie al premio che ne ha amplificato in breve la fama.
Ambientato nel Giappone rurale, Eureka racconta la storia di Naoki e Kozue, due giovani fratelli che si trovano a bordo di un autobus quando un folle comincia a uccider- ne i passeggeri. Solo i due ragazzi e l’autista Sawai Makoto sopravvivono all’aggressione dell’uomo, ma per loro è ormai impossibile tornare a una vita normale. Inoltre, Makoto viene sospettato di una serie di omicidi e i ragazzi perdono i genitori. Decidendo di vivere insieme, e soprattutto quando a loro si unisce un cugino dei ragazzi, Akihiko, a sua volta profondamente solo, il piccolo gruppo tenta di ricucire le ferite della tragica esperienza trascorsa e di formare una famiglia.
Il film, molto amato in Occidente, con i suoi 217 minuti di durata e la monocromia seppia adottata per tutta la sua lunghezza, sviluppa in un flusso omogeneo una successione di scene estremamente ammalianti, mai scontate. La struttura narrativa su cui è basato è tuttavia molto semplice e lo stile difficilmente decorato, ma l’abile costruzione della tensione e il sottile svolgimento dei sentimenti non permette di distrarsi dalle scene che scorrono sullo schermo.
Il romanzo, più ancora del film (a cui tra l’altro aggiunge un certo numero di scene e dettagli), offre con pacata malinconia i sentimenti dei ragazzi derivati dal trauma subito, conservando la tensione del thriller del film originale fino alle ultime pagine. Ancora più del film, inoltre, il romanzo è in grado di far avvertire il valore e allo stesso tempo il pesante fardello della memoria: l’episodio a cui hanno dovuto prendere parte disegna su ciascuno dei personaggi un’ombra dal distinto spessore, a cui oppongono individuali resistenze. Allo stesso modo, anche se entrambe le versioni non dischiudono una possibilità reale di tornare alla normalità, nel romanzo il raggiungimento della felicità rappresenta una meta dalle differenti distanze per ciascuno dei personaggi, una chance più tangibile di quan- to si percepisca nel film, dove resta piuttosto una speranza labile.
(1) In seguito avrebbe dedicato due documentari al mondo musicale, uno dedicato a Chris Cutler (June 12 1998) e uno a Uehara Tomoko (Song of Ajima). Inoltre, Aoyama è stato spesso autore delle musiche dei propri film.
Estratto da Lo schermo scritto, Cafoscarina, 2012